Nintendo è conosciuta in tutto il mondo come l’azienda che ha creato successi come Super Mario Bros, Metroid e The Legend of Zelda. Ma la sua storia va ben oltre il periodo degli anni Ottanta, quando divenne un nome familiare. Nel 1889, l’uomo d’affari giapponese Fusajirō Yamauchi fondò Nintendo con il nome di Nintendo Koppai, un’azienda produttrice di carte da gioco con sede in via Shōmen-dōri a Kyoto. Da queste umili origini, la società crebbe fino a diventare una delle più grandi aziende giapponesi di carte da gioco, prima di passare ad altri prodotti come giocattoli ed elettronica.
Raramente Nintendo parla della sua storia precedente ai videogiochi, ma proprio questa ci aiuta a capire l’azienda: dai primi prodotti rivolti alle famiglie al motivo per cui privilegia l’hardware superato e maggiormente economico rispetto alle tecnologie più avanzate. Per saperne di più, abbiamo parlato con storici, collezionisti e archivisti del percorso fatto Nintendo fino a diventare l’azienda che conosciamo oggi. Ma prima di tutto, dobbiamo parlare del suo fondatore.
Fusajirō Yamauchi non è nato Yamauchi, ma è stato adottato in tenera età. Naoshichi Yamauchi, proprietario del cementificio locale Haiko Honten, non aveva figli e aveva bisogno di un erede che lo sostituisse dopo il pensionamento, così adottò Fusajirō e gli cambiò cognome. Fusajirō iniziò a lavorare in fabbrica da adolescente e nel 1880 succedette a Naoshichi come presidente, venendo coinvolto in progetti come il canale del lago Biwa a Kyoto. Il successo dell’azienda continuò sotto la sua guida, ma Fusajirō aveva altri interessi da perseguire al di fuori del cemento.
Nel tempo libero, Fusajirō giocava spesso con le Hanafuda. Si trattava di “carte a fiori” illustrate contenenti dodici semi, ognuno dei quali rappresentava un mese diverso e comprendeva quattro ranghi. In passato, le carte da gioco erano state messe fuori legge sotto lo shogunato Tokugawa, ma furono nuovamente legalizzate nel 1885 dopo che il governo Meiji ammorbidì la sua posizione sul gioco d’azzardo.
Florent Gorges, coautore di The History of Nintendo 1889-1980, afferma: «Intorno al [1885], il Giappone iniziò a cambiare la sua filosofia, i suoi modi di vita, e il governo permise nuovamente il gioco d’azzardo con le carte. Il signor Yamauchi amava bere saké con i suoi amici dopo il lavoro e giocare d’azzardo con le carte per denaro. E poiché [Kyoto] era considerata una città di piacere, si chiese: “Perché non possiamo fondare un’attività di produzione di carte?”».
«C’era una nuova opportunità», aggiunge Alexander Smith, autore di They Create Worlds, un libro sulle figure chiave dell’industria dei videogiochi. «Le Hanafuda erano appena tornate a essere legali, quindi non c’erano molti produttori. C’era l’opportunità di avviare un piccolo laboratorio, ed è così che è nata Nintendo: un’attività secondaria nel 1889, in un piccolo edificio, con forse solo una dozzina di artigiani che realizzavano a mano queste carte Hanafuda».
Il primo mazzo Hanafuda di Nintendo, la linea Daitōryō (“presidente”), presentava l’immagine di Napoleone Bonaparte sulla copertina ed era rivolto alla fascia alta del mercato, come le case da gioco e chi aveva un reddito cospicuo. In seguito Nintendo pubblicò un altro mazzo, chiamato linea Tengu, che comprendeva carte di qualità leggermente inferiore. Il Tengu (letteralmente “Cane Celeste” o “Sentinella Celeste”) è una figura leggendaria del folklore giapponese, comunemente raffigurata con un naso lungo e un volto rosso. Era già associato al gioco d’azzardo, perché i giocatori durante il proibizionismo spesso si sfregavano il naso per indicare che stavano cercando giochi d’azzardo.
Per anni si è ipotizzato che il nome Nintendo significasse “Lascia la fortuna al cielo”, ma Hiroshi Yamauchi ha ammesso in alcune interviste che il suo vero significato si è perso nel tempo. Gorges ipotizza quindi che, considerato il legame culturale tra il Tengu e il gioco d’azzardo, e dato che il ten di “nin-ten-do” utilizza lo stesso kanji di “ten-gu”, è possibile che l’azienda abbia preso parzialmente il nome da questa figura.
Il successo dei prodotti Nintendo portò a una crescita continua nei due decenni successivi, non senza incontrare alcune difficoltà. Durante la guerra russo-giapponese (1904-1905), il governo impose un’imposta sulle carte da gioco, che continuò a esistere fino al 1989 (quando venne sostituita da un’altra imposta, simile all’IVA). Questo cambiamento colpì duramente le aziende produttrici di carte, ma Nintendo riuscì a resistere a questi cambiamenti grazie alle sue varie collaborazioni e al suo crescente catalogo.
Dopo aver fatto diventare Nintendo non più una piccola attività secondaria, ma un’impresa redditizia e a sé stante, Fusajirō si ritirò nel 1929. Come successore scelse Sekiryo Yamauchi, il marito di sua figlia Tei, che immediatamente modernizzò Nintendo, cambiando la struttura manageriale e introducendo nuove linee di produzione. Si prospettavano però tempi difficili.
Nel 1941 il Giappone entrò nella Seconda Guerra Mondiale e l’interesse del pubblico per le attività ricreative diminuì drasticamente. Per sopravvivere, Nintendo accettò un contratto con il governo nazionalista giapponese per produrre Aikoku Hyakunin Isshu (una versione patriottica del popolare gioco di poesia). Si tratta di una parte controversa della storia dell’azienda, che Nintendo non ha mai discusso. «Durante il periodo bellico, non si può essere un’azienda di svago», afferma Kelsey Lewin, co-direttore di Video Game History Foundation. «Così sono riusciti a rimanere in vita diventando un’azienda di propaganda per i nazionalisti giapponesi. Realizzavano carte con slogan nazionalisti che venivano distribuite ai soldati».
«Nintendo le stampava e le diffondeva in tutto il Giappone», dice Gorges. «E avevano ordini da tutte le scuole. Per Nintendo fu una grande opportunità di sopravvivenza, perché nessuno aveva voglia di giocare. Tutti gli uomini erano in guerra. Le donne lavoravano. E i bambini erano a scuola. Quindi l’industria dell’intrattenimento in Giappone era in una brutta situazione».
Non accadde solo in Giappone: anche alcune aziende americane, come la Disney, dovettero sopravvivere firmando contratti con le forze armate della loro nazione. In ogni caso, Nintendo superò la guerra grazie a questo lavoro e dopo, come altre aziende giapponesi, iniziò a ricostruire. Sekiryo fondò un’altra azienda, la Marufuku Co. Ltd nel 1947, per contribuire alla distribuzione dei prodotti Nintendo. Ma nel 1949 fu colpito da un ictus e cedette il controllo dell’azienda a suo nipote, Hiroshi.
Hiroshi Yamauchi non era la prima scelta per assumere la presidenza di Nintendo, poiché all’epoca era ancora piuttosto giovane. Al contrario, Shikanojo Inaba, padre di Hiroshi e genero di Sekiryo, era il primo in linea di successione. Ma Shikanojo aveva abbandonato la famiglia ed era fuggito dalle sue responsabilità, così Hiroshi divenne presidente a soli 22 anni.
Hiroshi adottò un approccio draconiano alla gestione, apportando una serie di drastici cambiamenti che frustrarono i dipendenti di lunga data. Nel 1951 consolidò le entità aziendali della famiglia e centralizzò la produzione, provocando licenziamenti e la chiusura di numerosi stabilimenti. I dipendenti manifestarono il loro disappunto nei confronti del giovane presidente e organizzarono una protesta nel 1955; molti lavoratori si aspettavano che il presidente cedesse sotto la pressione. Hiroshi invece licenziò i suoi maggiori critici, costringendo i dipendenti a mettersi in riga o a subire una punizione.
L’anno successivo, Hiroshi visitò il più grande produttore di carte del mondo: la United States Playing Card Company, a Cincinnati. Fu durante questa visita che Hiroshi si rese conto che Nintendo avrebbe dovuto diversificare le sue attività per sopravvivere. «Quando visitò gli Stati Uniti, era per farsi un’idea di come fosse il settore delle carte da gioco in quel paese», racconta Smith. «E fu una specie di rivelazione per lui che i bambini giocassero a carte. Perché in Giappone non era una cosa comune. E questo è stato uno dei motivi per cui ha spostato l’attenzione [sui bambini]. È anche il momento in cui ha imparato il potere delle licenze».
Gorges dice: «Quando il signor Yamauchi andò negli Stati Uniti, non rimase impressionato quando scoprì che la più grande azienda di carte da gioco del mondo non era poi così diversa da Nintendo in quel momento. Era deluso perché aveva grandi ambizioni, e non vedeva un grande futuro per la sua azienda». Nel 1959, Hiroshi iniziò a diversificare l’attività di Nintendo, firmando un contratto di licenza con Disney per la produzione di carte basate sui suoi personaggi. Questa nuova gamma ebbe un successo immediato tra i bambini giapponesi e Hiroshi portò l’azienda in borsa poco dopo, nel 1962.
Un anno dopo, Hiroshi cambiò il nome dell’azienda in Nintendo co. e abbandonò per la prima volta il riferimento alle carte da gioco. I giocattoli di plastica stavano diventando sempre più popolari tra i bambini giapponesi e, con il crollo del mercato delle carte da gioco nel 1964, Nintendo aveva bisogno di espandersi in altri settori. A partire dal 1965, Nintendo produsse una serie di giochi da tavolo basati sui personaggi dei film Disney e dei media giapponesi. In questa fase, l’azienda non aveva ancora sviluppato idee originali, ma tutto questo stava per cambiare con l’arrivo di un giovane ingegnere, Gunpei Yokoi, nel 1965.
Inizialmente Yokoi si occupava dei macchinari per il taglio delle carte nella fabbrica Nintendo. Gli piaceva armeggiare e durante i suoi turni costruiva spesso congegni con i materiali che trovava in giro per la fabbrica. Si racconta che un giorno Yokoi si stava annoiando e armeggiava con un giocattolo allungabile che aveva costruito, quando la direzione lo notò e lo portò in ufficio. Yokoi pensava di essere punito, ma Yamauchi lo promosse a una posizione di ricerca e sviluppo e gli chiese di produrre di più. Nel 1966 Nintendo mise sul mercato un giocattolo chiamato Ultra Hand, riscuotendo un grande successo commerciale e infondendo nell’azienda una nuova fiducia.
Yokoi voleva concentrarsi sulla creazione di prodotti più economici, utilizzando tecnologie facili da reperire e da produrre. Nel 1967 arrivò l’invenzione successiva di Yokoi, un giocattolo di plastica chiamato Ultra Machine, seguito dalla versione Nintendo del Lego, chiamata N&B Blocks. In questo periodo Nintendo iniziò anche a produrre prodotti elettronici, tra cui un Love Tester, una Beam Gun sensibile alla luce e un’auto telecomandata chiamata Nintendo Lefty RX. «C’è una filosofia di Yokoi che per Nintendo è valida ancora oggi», dice Lewin. «La chiamava “pensiero laterale con tecnologia appassita”. Significa prendere pezzi che oggi sono economici, non più all’avanguardia, e creare qualcosa di veramente buono e interessante con essi. In questo modo si può avere qualcosa di accessibile, ma senza sacrificare troppo la qualità».
Nintendo ha ottenuto alcuni successi seguendo questa filosofia, ma è anche andata incontro a notevoli fallimenti. Uno di questi ultimi è stato il sistema Laser Clay nel 1973, un’idea di Yokoi per trasformare le piste da bowling abbandonate della nazione in poligoni di tiro giocattolo. Insieme ai colleghi Masayuki Uemura e Genyo Takeda, Yokoi ideò un kit che utilizzava proiettori per simulare un tiro a segno. Quando una persona sparava con la sua pistola, gli specchi seguivano la luce e rilevavano se il bersaglio era stato colpito, cambiando l’immagine del proiettore in base a questo input. L’attrazione fu inizialmente molto apprezzata, ma la crisi petrolifera e la recessione giapponese indussero investitori e partner commerciali a ritirarsi, causando a Nintendo perdite milionarie.
L’azienda era in difficoltà: uno dei suoi progetti più importanti era andato in fumo e la produzione di giocattoli stava diventando sempre più onerosa a causa dell’aumento dei costi di manifattura. Nintendo aveva di nuovo bisogno di cambiare rotta per sopravvivere. Nel 1974, rilasciò una versione mini della sua console di tiro al laser: la macchina arcade Wild Gunman. Il successo fu modesto e Nintendo lo replicò con altri giochi a gettoni come EVR Race e Sky Hawk di Genyo Takeda.
Alla fine degli anni Settanta, dopo il successo della versione domestica di Pong di Atari, Nintendo acquisì una licenza da Magnavox (i creatori originali del gioco) per creare i suoi cloni console per il mercato domestico. Insieme a Mitsubishi Electronics, Nintendo fece uscire Color TV-Game 6 e Color TV-Game 15, console domestiche dotate di varianti di Pong. Ne seguirono altre, tra cui Racing 112, un gioco di guida, e Block Kuzushi, un clone di Breakout di Atari. Nonostante queste console vendessero particolarmente bene, l’azienda non era in attivo. Nel 1980, tuttavia, le sue sorti iniziarono a cambiare.
Un giorno, mentre tornava a casa in treno, Yokoi notò un uomo d’affari annoiato che giocava con i tasti della sua calcolatrice. Gli venne un’idea e ben presto propose un dispositivo LCD portatile che utilizzava batterie a bottone, economiche da reperire. Lo chiamò Game & Watch, e sarebbe diventato il successo di cui l’azienda aveva bisogno. Nintendo distribuì la prima versione del Game & Watch nel 1980 e negli anni successivi ne creò altre varianti con diversi giochi, come Life Boat, Rain Shower e Mario Bros. Il resto della storia di Nintendo è più nota: all’inizio degli anni Ottanta, fece uscire cabinati arcade per Donkey Kong e Mario Bros. Segue poi nel 1983 l’uscita del Family Computer (o Famicom), una console progettata da Masayuki Uemura. Con ogni uscita successiva, Nintendo si è costruita una reputazione di qualità e innovazione grazie al “pensiero laterale”—capacità che nasceva da talento e necessità finanziarie.
Oggi Nintendo fa riferimento alla sua storia precedente ai videogiochi solo sotto forma di easter egg di cui non sempre è facile accorgersi; ma se si osserva con attenzione, questo retaggio è riconoscibile in molti dei suoi prodotti, che si tratti di Wii, Wii U e Switch, o di periferiche come Labo e Mario Kart Live: Home Circuit. L’azienda raramente cerca di superare i suoi rivali con una tecnologia superiore, e preferisce invece offrire esperienze accessibili che si rivolgono a un pubblico il più vasto possibile. È un approccio che è stato utile all’azienda per tanti anni, e probabilmente continuerà a esserlo anche in futuro.