Il mercato e l’industria videoludici sono oggetti che per definizione sottostanno ai gusti dei consumatori e, di conseguenza, alle tendenze (di consumo) che essi generano: la distribuzione pressoché contemporanea di due videogiochi con caratteristiche formali analoghe, quali Player’s Unknown Battleground (Krafton 2017) e Fortnite (Epic Games 2017), ha decretato l’affermazione di nuove dinamiche videoludiche e innovative modalità di gioco, nelle vesti del genere battle royale. Nei cinque anni successivi alla loro distribuzione, il battle royale si è affermato in quanto testo originale, evolvendosi nel contesto videoludico da genere narrativo a forma di spettacolo, contaminando altri prodotti audiovisivi e riconfigurandoli secondo specifici termini estetici, ideologici e stilistici. In tal senso, è possibile affermare che nell’attuale panorama mediale, il battle royale si è affermato in quanto fenomeno e forma di intrattenimento tout court, coinvolgendo prodotti videoludici, servizi digitali e individui su scala globale. L’osservazione e la comprensione del battle royale in quanto fenomeno contemporaneo necessità di un’interrogazione circa le origini del termine, la sua evoluzione semantica attraverso i media e infine il suo successo nel contesto videoludico.
L’espressione battle royale—o “battle royal”—definisce un combattimento a cui partecipano più di due combattenti e in cui l’ultimo sopravvissuto è dichiarato vincitore: in quanto concetto, prevede quindi la compartecipazione di tre nozioni—il combattimento, la sopravvivenza e la vittoria. La prima diffusione del termine avviene agli inizi del diciassettesimo secolo nel contesto reale—royal—della corona inglese, da parte della dinastia Tudor. I nobili reali decidono di importare a corte gli usi e i costumi propri delle colonie africane e asiatiche sotto il loro governo: tra questi figura il combattimento tra galli, la prima forma di battle royale in senso moderno, consacrata dai regnanti inglesi a “gioco di corte”. Tale attività raduna numerosi individui, nobili e reali che, attorno all’arena in cui gli animali si affrontano fino alla morte, urlano, discutono e celebrano. Il successo è immediato, al punto che nei pressi del Palazzo di Westminster di Londra viene costruito il primo “gallodromo di corte”—“Royal Cockpit”—della storia europea. Data la volgarità del termine inglese “cockfights”, che definisce i combattimenti tra galli, l’attività ludica dei reali inglesi è rinominata in “battle royale”. Successivamente e parallelamente l’espressione si diffonde per indicare qualsiasi forma di combattimento che coinvolge più di due individui ma si eleva dalle cosiddette “risse da bar”, definita da regole precise come la presenza di un’arena, di un arbitro e di un pubblico. Lontano dai contesti reali dei potenti d’Inghilterra, il battle royale si diffonde come pratica violenta nelle lotte tra schiavi delle colonie americane e in seguito come attività ludica nell’ambito del wrestling.
È a quest’ultimo contesto che il termine è strettamente legato, prima di qualsiasi prodotto audiovisivo o letterario; la pratica sportiva di combattimento tra più di due individui sul ring si lega al termine sino alla seconda metà del Novecento, salvo poi essere rinominata in “Royal Rumble”—tuttora definita così. Verso la fine del secolo, il termine fa la sua prima comparsa in un contesto nuovo, lontano da pratiche violente o sportive – quanto meno in senso pratico: la letteratura. Nel 1999 lo scrittore giapponese Koushun Takami pubblica il romanzo Battle Royale, in cui propone una storia sovversiva il cui scopo è denunciare la società contemporanea del suo paese. Il libro racconta le vicende di un distopico Giappone in cui la criminalità giovanile ha raggiunto il limite tollerabile (dagli adulti, dalle forze dell’ordine e dal governo): lo Stato elabora quindi il “Battle Royale Act”, legge che prevede il rastrellamento delle classi di giovani adolescenti, i quali sono costretti a scontrarsi in un gioco di morte il cui obiettivo è la sopravvivenza di un solo individuo. La classe di studenti protagonista della storia è condotta su un’isola deserta; qui a ogni studente sono consegnate una mappa, alcune razioni di cibo e armi dopo l’installazione di un collare esplosivo: l’oggetto è la manifestazione del controllo esercitato dal governo sui giovani armati che, qualora decidessero di abbandonare l’isola o arrendersi, andranno in contro a morte certa. Alla fine del gioco, l’ultimo sopravvissuto può lasciare l’isola e fare ritorno alla quotidianità.
Il merito del libro è aver inserito le regole già presenti nel wrestling e nel combattimento tra galli in una storia di carattere distopico. Arena, pubblico e armi sono le tre variabili che determinano i caratteri distintivi del battle royale summenzionati: combattimento, sopravvivenza e vittoria. Ciò che emerge dal romanzo non è solo un prodotto cult e presto adattato in altri media, ma l’affermazione di un genere narrativo popolare1Choi, G., Kim, M. (2018). “Battle Royale Game: In Search of a New Game Genre”, International Journal of Culture Technology (IJCT), 2(2). Di fatto, le tematiche e le tesi sviluppate in Battle Royale riscuotono un forte successo commerciale in Giappone, ispirando altre opere letterarie, manga e visual novel pubblicate all’inizio del nuovo millennio, prima che il concetto di battle royale attraversasse l’oceano, sviluppandosi su scala globale qualche anno più tardi.
Ricostruire la strada percorsa cronologicamente dal genere necessita la considerazione di numerosi testi mediali prodotti e distribuiti dalla fine degli anni Novanta al secondo decennio del Ventunesimo secolo; in questo contesto, al fine di osservare l’evoluzione da genere a fenomeno e forma di spettacolo sono presi in considerazione i testi di maggior successo all’interno delle rispettive categorie media di appartenenza. Nella letteratura occidentale, la scrittrice che per prima coglie al meglio i temi racchiusi nell’opera di Takami è Suzanne Collins, autrice capace di declinare il concetto in un contesto narrativo più ampio con la serie di romanzi The Hunger Games. Trattasi di una trilogia che racconta la storia di Panem, stato fittizio emerso dalle ceneri degli Stati Uniti d’America, distrutti a seguito di un conflitto mondiale. Per evitare ulteriori guerre e rappresaglie, il governo dittatoriale esercita una forma di repressione sociale attraverso il battle royale. Capitol City, la capitale di Panem nonché città-stato più ricca, mantiene il controllo sui dodici distretti che compongono il paese costringendo i cittadini a selezionare un ragazzo e una ragazza, denominati Tributi, al fine di competere in un evento televisivo annuale di portata nazionale chiamato Hunger Games. Ogni cittadino deve assistere alla lotta all’ultimo sangue tra i giovani, finché non ne sopravvive solo uno. Come sottolinea il nome, si tratta di un gioco televisivo non lontano dai moderni reality show, una forma di spettacolo per i più benestanti e di minaccia per i poveri, in cui la morte e la vita sono messe al primo posto.
I romanzi di Collins hanno ottenuto un importante successo prima negli Stati Uniti e poi nel mondo, complice l’adattamento cinematografico che ha contribuito a diffondere il genere battle royale oltre le pagine dei libri, approdando al cinema e in televisione. È sul piccolo schermo che recentemente la formula del battle royale ha raggiunto il massimo della fama: l’opera audiovisiva che, al di fuori dei videogiochi, ha maggiormente contribuito alla popolarità del genere è Squid Game, serie coreana distribuita da Netflix nel 2021. La serie riprende i canoni dettati dal manga As the Gods Will (M. Kaneshiro 2011), proponendo un battle royale in cui centinaia di partecipanti sono costretti ad affrontare una serie di giochi per bambini con lo scopo di vincere un premio in denaro.Perdere al gioco equivale a perdere la vita; dunque Squid Game introduce due novità: la vincita di un premio economico e non solo la sopravvivenza, e la partecipazione volontaria alla sfida—non vi sono formule di costrizione o repressione sociale che obbligano i partecipanti. È opportuno notare come le due opere menzionate abbiano nel titolo il concetto di “game”, gioco: assecondando le caratteristiche ludiche del battle royale questo ha potuto inserirsi nel contesto videoludico, guadagnando una popolarità senza precedenti2Wroot, J. (2017). Battle Royale as a One-Film Franchise: Charting a Commercial Phenomenon Through Cult DVD and Blu-ray Releases. In: Wroot, J., Willis, A. (eds) Cult Media. Palgrave Macmillan. Nel contesto del videogioco—in quanto medium—il battle royale si inserisce in modo pressoché identico in tutti i contesti e prodotti che tocca: non racconta una storia ma una modalità di interazione e fruizione videoludica scandita da regole e meccaniche di gioco ben precise.
Player’s Unknown Battleground è il videogioco che per primo sperimenta con la formula battle royale, dettando le regole di tutti i prodotti che si sono inseriti in questo mercato: cento giocatori sono paracadutati su un’isola deserta a mani vuote, cercano di raccogliere armi e oggetti sparsi per il territorio con l’unico scopo di sopravvivere uccidendo gli avversari3Kim, S. Y. (2021). Surviving Digital Asia: PlayerUnknown’s Battlegrounds and the Affective Economy of the Battle Royale. Verge: Studies in Global Asias, 7(2). Le regole istituite da Takami sono quindi riprese lettera per lettera e contestualizzate nel videogioco arricchite da un elemento comune che lega spazio e tempo: ogni minuto di gioco l’arena si restringe, costringendo i giocatori a scontrarsi in un’area sempre più piccola. Alla fama di Player’s Unknown Battleground segue quella di Fortnite, uno dei videogiochi più giocati della storia del medium: con carattere meno serioso e grafica più cartoonesca, la modalità battle royale si ripete con le stesse regole summenzionate. Si tratta del primo videogioco che consacra il battle royale a genere videoludico, a cui seguono prodotti che ripetono la formula inserendo elementi ludico-narrativi e scenari propri. Tra i più noti spiccano Apex Legends (Electronic Arts 2019), Fall Guys: Ultimate Knockout (Devolver Digital 2020) e Call of Duty Warzone (Activision 2020)—recentemente rinnovato in Warzone 2.0 (2022). La popolarità del battle royale videoludico è dovuta a tre fattori: l’accesso free to play, ovvero la possibilità di giocare gratuitamente i titoli menzionati; l’interazione cross play, vale a dire l’opportunità d condividere l’esperienza di gioco su diversi dispositivi; l’esperienza di in-game events, per cui la “rigiocabilità” del genere è garantita dal continuo sviluppo di “eventi”—termine impiegato per indicare contenuti originali, aggiunti al gioco dopo la sua prima distribuzione. Attraverso il videogioco, il battle royale si afferma a genere narrativo trasversale, capace di attraversare i media declinandosi in storie uniche e modelli di consumo innovativi4Choi, G., Kim, M. (2018). Gameplay of Battle Royale Game by Rules and Actions of Play, 2018 IEEE 7th Global Conference on Consumer Electronics (GCCE).
Parallelamente alla diffusione e all’istituzionalizzazione del battle royale è opportuno sottolineare l’evoluzione, lo sviluppo a l’espansione delle piattaforme digitali di condivisione audiovisiva. In particolare, è necessario evidenziare che parallelamente all’industria e cultura del videogioco emerge quella del cosiddetto gioco video, ovvero l’atto di guardare gli altri che giocano, fenomeno diffuso su piattaforme come YouTube o Twitch. Quest’ultima è la piattaforma di live streaming appartenente al gruppo Amazon che si sviluppa con un focus sulla trasmissione in diretta di videogiochi, giocati da utenti definiti streamer, sia a livello amatoriale, che professionale e competitivo (eSports). Laddove YouTube propone un tipo di produzione e fruizione in differita, su Twitch gli spettatori interagiscono con gli streamer attraverso un sistema di dialoghi in chat, incentivato dalla piattaforma stessa.
Mediante pratiche di monetizzazione utili a fornire feedback e a ricevere ricompense, Twitch ha dato vita alla sotto-cultura della game live streaming culture5Taylor, T. L. (2018). Watch me play: Twitch and the rise of game live streaming, Princeton: Princeton University Press. È in questo humus culturale che il battle royale ha raggiunto un successo senza precedenti, subendo un’ulteriore evoluzione, concretizzandosi in fenomeno e forma di spettacolo. Come osservato sin dal romanzo di Takami, nel genere battle royale i combattimenti sono inquadrati come un gioco che ha funzione di intrattenimento, anche se le guardie e i funzionari governativi sono gli unici spettatori: la violenza e le uccisioni nei combattimenti sono riprodotte, o meglio inquadrate, come una forma di spettacolo. Nonostante la presenza di piattaforme di game live streaming da ben prima della popolarità suscitata dal battle royale videoludico, il genere ha posizionato un gran numero di nuovi utenti su questi siti; una spiegazione la si può trovare nell’essenza intrinseca del battle royale, così come manifestato nelle storie menzionate: un testo divertente sia da guardare che da giocare. Il battle royale come pratica e fenomeno di gioco video contribuisce all’istituzione di nuova industria culturale, che ha dato origine a nuove pratiche di produzione e consumo di contenuti digitali, di tessuti sociali, di spazi fisici e virtuali. Tale nuova forma espressiva è il punto di arrivo e l’esempio paradigmatico di transcodificazione narrativa del battle royale che, nel percorso visto finora, si conclude in un luogo ibrido a metà tra il giocato e il guardato, generando fenomeni di produzione e fruizione, forme di intrattenimento e convergenza sociale caratterizzando piattaforme come Twitch.
Da recenti studi e indagini di carattere etnografico, emerge che il battle royale—in quanto genere videoludico e pratica di consumo multimediale—ha raggiunto cifre da record sia per quanto concerne il videogioco che il gioco video. Non sorprende quindi che Twitch stessa stia proponendo videogiochi in cui il battle royale diviene una formula che va oltre lo schermo e coinvolge attivamente streamer e spettatori. In particolare, nel caso di Hyper Scape (Ubisoft 2020), il gioco permetteva al pubblico di avere un impatto decisionale sugli elementi di una partita in vari modi—gli spettatori di Twitch potevano votare su eventi e meccaniche di gioco come la quantità di munizioni o l’assenza di gravità. Inoltre, sempre più spesso i punti di incontro tra cinema e videogiochi generano testi ibridi che coinvolgono anche il battle royale: è il caso di BloodShore (Wales Interactive 2021), film interattivo che riprende i temi del romanzo di Takami e dei videogiochi citati, dando la possibilità allo spettatore di scegliere il destino del protagonista precipitato sull’isola. Ne consegue che nel futuro del battle royale sono presenti elementi di maggiore integrazione tra l’industria videoludica e Twitch, che ha ormai dichiarato come il giocatore e lo spettatore contano più del gioco—il consumatore vince sul prodotto: il battle royale emerge come forma di intrattenimento transmediale, che coinvolge narrazioni letterarie, audiovisive e videoludiche.