Tutti più o meno conoscono i quadri di Piet Mondrian. Il suo personalissimo stile fa parte ormai di un archetipo visivo ed immaginifico. E quando l’arte diventa così riconoscibile e riesce a lasciare un segno, è facile che anche altre attività creative ne vengano ispirate o addirittura se ne approprino in toto.
Nella moda ad esempio un giovane Yves Saint Laurent lanciò nel 1965 una collezione di sei abiti che avrebbero poi preso il nome di “Mondrian dress”, trasponendo le tele del pittore su vestiti di lana e jersey. La ditta italiana di elettrodomestici Smeg ha coperto il suo iconico frigorifero anni ‘50 con linee e colori ispirati a Mondrian (ad onor del vero il verde non essendo un colore primario non sarebbe mai stato accettato dal pittore olandese!).
I creativi pubblicitari ne hanno tirato fuori brillanti campagne, come nel caso della società di logistica artistica Kraft Els Ag, che ammassa alla rinfusa in un angolo i rettangoli colorati e le linee nere: colpa di non aver spedito la tela con loro. Potrei continuare a citare le influenze che Mondrian ha avuto nel mondo del cinema, dell’impaginazione, dell’arredamento, dell’architettura. Ma non siamo qui per questo. Qui analizzerò un gioco che non solo è ispirato a Mondrian, ma che ci fa entrare dentro la poetica del pittore e ci fa toccare con mano la sua arte.
Curves are so emotional
I musei sono sempre più blindati, le opere d’arte sempre più costose, alcune troppo delicate e fragili. E allora via con telecamere di sorveglianza, distanziatori, transenne, rilevatori di presenza e nei casi più estremi teche antiproiettile. Lo sviluppatore indipendente Thomas Waterzooi ci invita invece a toccare con la nostra mano virtuale le opere d’arte esposte nella sua galleria videoludica ispirata al movimento nato in Olanda nei primi anni del ventesimo secolo. Ci farà vivere il processo creativo dietro le opere del De Stijl di cui Mondrian è stato fondatore insieme a Theo van Doesburg.
Ad accoglierci ci sarà un maggiordomo che ci chiederà come ci sentiamo e che tipo di esperienza ci piace. Già dalle premesse si capisce subito che il lavoro di Waterzooi è qualcosa che va fuori dagli schemi: in un video dichiara che per questo suo primo titolo ha aderito concettualmente al manifesto Rejecta di Pietro Righi Riva dove uno dei “dieci comandamenti” recita proprio “Tutta la tradizione dei videogiochi in termini di forma, stile e contenuto deve essere respinta”. Al contrario oggi sembra che la tendenza sia quella non solo di reiterare meccaniche trite e ritrite ma anche di tagliare fuori quante più persone possibili dall’esperienza videoludica a colpi di soulslike, bullet hell e metroidvania labirintici.
L’asticella della difficoltà si alza sempre di più, tanti sono gli hardcore gamer che cercano solo questo tipo di esperienze al limite del sadico. Resta fuori però una fetta molto grande di utenza che non si avvicina proprio al medium o che se ci si avvicina ha la sfortuna di sbattere contro il muro di gomma dei generi citati sopra. Ho trovato davvero inclusivo il fatto di tarare la difficoltà in base alla nostra stanchezza e di proporre il gioco più adatto in quel momento. Ad esempio quando ho aperto per la prima volta Please, touch the artwork, era in tarda serata, i bambini non erano ancora andati a letto, quindi ho risposto di essere stanco ma allo stesso tempo che mi piacciono i puzzle game. Il maggiordomo, come un sommelier che cerca di interpretare i nostri gusti e la nostra preparazione, mi ha consigliato di partire con The Style, uno dei tre minigiochi all’interno della galleria.
In The Style il nostro compito è di riprodurre il quadro alla nostra sinistra possibilmente entro un numero di “tocchi” stabilito. Non viene spiegata la regola di come il colore si espande sulla tela, ma dopo un po’ di tentativi lo si apprende e lo si interiorizza. All’inizio le cose sembrano piuttosto facili ma nuove meccaniche introdotte nei livelli più avanzati complicano le cose, fino a renderle piuttosto “pasticciate” nelle fasi finali. The Style è dei tre giochi presenti all’interno di Please, touch the artwork quello con la componente puzzle più pronunciata, consigliato a chi ama ragionare ed è disposto ad accetta una sfida ragionevolmente complessa che diventa un po’ frustrante solo nelle fasi finali. Il sottotesto narrativo equipara il processo creativo dell’artista a quello della visione biblica della creazione del mondo. Partendo da una tela bianca (il primo giorno), prima impareremo a creare le linee, poi le croci, poi aggiungeremo i colori primari, infine il bianco e il nero.
Per chi vuole invece un livello di sfida meno impegnativo e più rilassante New York City si presenta come una sorta di Snake per Nokia rivisitato. Dovremmo muovere il nostro quadrato su una griglia fatta di linee gialle a cui si intrecciano linee rosse e blu a confondere le idee. Lo scopo è quello di “mangiare” tutti i quadratini disseminati nel labirintico ordito. Ad ogni quadratino corrisponde una lettera che andrà a comporre una parola o una frase. Solo una volta mangiati tutti i quadratini si aprirà il passaggio per il livello successivo. In New York City l’opera d’arte non è più statica, ma prende vita. Waterzooi usa la poetica di Mondrian per raccontare la sua esperienza personale di un amore a distanza vissuto proprio nella Grande Mela. Mondrian si trasferisce dall’Europa a New York negli anni ‘40, e anche la sua arte ne resta influenzata. Non più linee nere e blocchi di colore, ma linee colorate che si incrociano ad angolo retto, che non solo evocano la pianta della metropolitana, ma rappresentano anche le strade rettilinee di Manhattan, percorse dai taxi gialli e tagliate dal bianco degli isolati.
Il terzo gioco all’interno della galleria è Boogie Woogie. Mondrian era un grande appassionato di jazz e un bravo ballerino, frequentatore assiduo di locali notturni. La tumultuosa energia della città lo porterà nella fase finale della sua carriera a spezzare le linee che aveva usato fino ad allora nei suoi dipinti e a frantumarle in una miriade di rettangoli rossi, blu e gialli. Sono le insegne al neon di Broadway, i semafori e le mille luci di New York. Waterzooi costruisce su questo ultimo impianto artistico il terzo e forse meno riuscito dei tre giochi. Woogie è un piccolo quadrato e Boogie la sua cornice. Si amano, si completano a vicenda e vogliono solo incontrarsi. Ma anche qui ci si mette di mezzo la città e la sua architettura fatta di incroci, tunnel, sensi unici. Compito del giocatore è quello di riunirli facendo attraversare a Woogie le strade per arrivare a Boogie.
Lo potevo fare anch’io
In un libro del 2007 Francesco Bonami prova a spiegare perché l’arte contemporanea è davvero arte. Lo potevo fare anch’io è il provocatorio titolo del libro e questa frase sarà stata esclamata (o almeno pensata) migliaia di volte da visitatori distratti di fronte a qualche opera contemporanea in un qualunque museo, galleria o mostra del mondo. Stessa sorte sarà sicuramente capitata anche al nostro Mondrian. Ad un primo e superficiale approccio si potrebbe opinare di stare osservando solo qualche linea dritta e semplici colori primari che riempiono lo spazio. In realtà dietro c’è un percorso durato decenni, di un artista figurativo che ha scelto consapevolmente di andare oltre questo stile e di iniziare a comunicare qualcosa che andasse al di là della forma.
Waterzooi partendo dall’arte di Mondrian ha voluto ricalcare, allargare, rendere interattiva la sua opera. Lo ha fatto in maniera brillante, intelligente, inclusiva, divulgativa. Ha creato un ponte tra l’arte del pittore olandese e le sue esperienze personali. La New York dove lui ha dovuto spostarsi per lavoro, è la stessa in cui viveva Mondrian quasi ottanta anni fa. Ovvero una città caotica, ricca sì di opportunità, ma dove “tutti vanno di fretta, correre, correre, correre, mangiare, dormire, ripetere”.
I livelli di New York City e Boogie Woogie in fondo in fondo parlano di psicogeografia, dello “studio degli effetti precisi dell’ambiente geografico, disposto coscientemente o meno, che agisce direttamente sul comportamento affettivo degli individui”. Chissà se Guy Debord avrebbe apprezzato Please, touch the artwork, perché altro non è che una deriva, e al tempo stesso una critica allo sviluppo e all’utilizzo degli ambienti urbani dispotici.