Quando ancora era all’incirca al 75% nel processo di sviluppo, il primo Borderlands aveva l’aspetto di qualsiasi altro shooter si preparasse ad uscire nel 2009. La copertina di Game Informer del settembre 2007 lo mostrava così com’era prima che il suo stile grafico venisse cambiato: uno Psycho, somigliante più allo Star-Lord interpretato da Chris Pratt che a uno squilibrato e violento fuorilegge del deserto, saltava dalla sua realistica vettura all’altrettanto realistico veicolo di un Vault Haunter.
Nel 2009 i giochi tripla A erano ancora rigorosamente devoti al realismo, e questo portava a una serie di titoli—Call of Duty: Modern Warfare 2, Left 4 Dead 2, Resident Evil 5, Call of Juarez: Bound in Blood—la cui tavolozza di colori era più o meno quella di una zuppa di cipolle. Quando Borderlands venne finalmente pubblicato diede una scossa al settore, con linee spesse, colori accesi e un arsenale di armi stravaganti. Sembrava, almeno strizzando gli occhi, di star giocando a un fumetto.
Borderlands 3 di Gearbox è uscito lo scorso settembre, quasi un decennio dopo che il primo capitolo sorprese i giocatori con l’originalità del suo stile grafico. Nel frattempo, però, molte cose sono cambiate. Laddove le tonalità di marrone e di verde dominavano il paesaggio, uno stile visivo più stilizzato è diventato un modo rapido per catturare l’attenzione—sia nei giochi tripla A che nelle produzioni indipendenti.
Dal lavoro di animazione di Cuphead, ispirato dalle creazioni di Disney e dei fratelli Fleischer, all’apocalisse rosa e viola di Far Cry New Dawn, gli sviluppatori ora cercano di essere creativi a livello estetico tanto quanto hanno sempre provato a esserlo nel progettare nuove meccaniche di gioco. L’epoca dei colori scialbi è finita. Il combinato disposto del successo della serie Borderlands e della crescita della scena indipendente nello scorso decennio ha aperto le porte a una nuova era.
Non è più necessario strizzare gli occhi. Giochi come Void Bastards di Blue Manchu e Sable di Shedworks somigliano a tutti gli effetti alle colorate pagine degli albi a fumetti alternativi. Il catalogo di picchiaduro di Arc System Works ha inoltre fatto sì che anche la scuola orientale sia sempre più rappresentata nei videogiochi, con titoli ispirati allo stile grafico di manga e anime come Dragon Ball FighterZ.
In che modo questi sviluppatori fanno sì che un ambiente interattivo in 3D ricordi tanto le vignette illustrate bidimensionali? Come fanno a catturare il fascino, la leggibilità, il pop delle avventure a fumetti? Come riescono a mantenersi fedeli a una precisa estetica nel corso di anni e anni di sviluppo? Lo abbiamo chiesto a Ben Lee e Jonathan Chey di Blue Manchu, a Gregorios Kythreotis e Daniel Fineberg di Shedworks, e a Takeshi Yamanaka di Arc System Works.
Guardare al di là dei giochi
Creare un aspetto grafico ispirato richiede, beh, ispirazione. Gli sviluppatori di Arc System Works hanno un vantaggio qui: spesso il loro è un adattamento di manga e anime, perciò il lavoro sullo stile visivo è un’operazione di traduzione. «Il nostro scopo principale è emulare la bellezza e la dinamica del materiale 2D di partenza», dice Yamanaka. «Sicuramente si va anche per tentativi ed errori».
Kythreotis e Fineberg, nelle fasi iniziali dello sviluppo di Sable—un’avventura narrativa di fantascienza che prende alcuni spunti da The Legend of Zelda: Breath of the Wild—hanno avuto l’impressione di muoversi in un territorio inesplorato. Non conoscevano alcun gioco capace di rappresentare un punto di incontro tra uno stile visivo 2D e spazi 3D nel modo in cui volevano farlo1Dopo aver già risolto molti dei problemi relativi all’accostamento di 2D e 3D, Kythreotis e Fineberg hanno poi scoperto un gioco che aveva affrontato molti degli stessi ostacoli e aveva già trovato alcune soluzioni. «C’è in realtà un gioco che ci eravamo del tutto persi, era un titolo sui Simpson uscito per Wii, ma lo abbiamo saputo solamente dopo» raccconta Kythreotis. «Ci sarebbe stato molto utile aver visto quel gioco»..
La squadra di Shedworks ha perciò in larga parte attinto al di fuori del mondo videoludico, prendendo ispirazione dai lavori dello Studio Ghibli e dell’illustratore francese Jean Giraud, vale a dire Moebius. Chi si occupa di fumetti o di cinema d’animazione però ha il controllo su ogni frame, e può determinare l’esatto punto di vista dal quale lo spettatore osserva l’azione. Sable invece è un gioco in terza persona in cui è il giocatore ad avere la possibilità di controllare la visuale.
Per adattare l’estetica dei fumetti a uno spazio tridimensionale, lo studio ha fatto affidamento sulla formazione da architetto di Kythreotis per trovare un indirizzo filosofico ed estetico. «Non è possibile avere un reale controllo sul modo in cui la gente interagirà con un edificio», afferma Kythreotis. «Devi progettare l’architettura in maniera flessibile, basandoti sulla funzionalità. Noi proviamo ad anticipare il modo in cui interagiranno i giocatori in un senso architettonico, e non inquadratura per inquadratura». Questo significa che il mondo di Sable richiede una logica al di là della mera estetica.
A tale scopo Kythreotis si è ispirato ad Arcosanti, la città “esperimento” nel deserto dell’Arizona, e al movimento metabolista giapponese—una scuola di pensiero architettonico ben rappresentata dalla Nakagin Capsule Tower di Kisho Kurokawa a Tokyo. Al momento dell’intervista Kythreotis stava studiando le costruzioni organiche del mondo naturale.
«Tutto dipende dal problema che abbiamo di fronte», dice. «Per alcuni degli edifici che stiamo realizzando adesso uso un libro che parla delle costruzioni dei volatili, come i nidi degli uccelli. L’approccio che abbiamo adottato consiste nel farci guidare sempre dalle ricerche, e la grafica diventa così una naturale conseguenza del contesto. Perciò se il contesto sono persone che vivono nel deserto e tra le dune di sabbia, andrò a cercare come vive realmente la gente in quei posti. Da queste premesse poi si costruisce il mondo circostante e la sua cultura. Le risposte a tutte le domande che emergono arrivano naturalmente se procedi così».
Il team di Blue Manchu per lo shooter strategico Void Bastards è stato ispirato dal mondo dei videogiochi—e, senza troppe sorprese visto che si tratta di un progetto indie, da limiti finanziari e di organico. «Quando abbiamo iniziato a parlare del progetto, il primo dubbio era: possiamo fare uno shooter in prima persona essendo così in pochi, meno di cinque persone?», racconta Lee. «E la soluzione è stata: perché non facciamo Outlaws della LucasArts e Duke Nukem 3D, però in alta definizione? L’unica differenza sarebbe stata l’uso dell’alta definizione e magari un po’ di illuminazione di fondo. Il resto lo avremmo fatto nello stesso modo».
«Siamo stati lieti di scoprire che una volta fatta una scena di prova, e sistemato tutto quanto, funzionava piuttosto bene. Ma richiedeva uno stile artistico molto, molto specifico». Uno stile artistico che, secondo Lee, ha attinto da giochi come Viewtiful Joe, MadWorld e Jet Set Radio. Mantenere quello stile per tutto il gioco, tuttavia, ha richiesto una grande attenzione a ogni dettaglio.
L’attenzione al dettaglio
Il primo Borderlands era stato realizzato con Unreal Engine 3—così come i più realistici Gears of War 2 e Mass Effect 2—prima di essere rivisitato graficamente. Di conseguenza spesso sembra esattamente ciò che è: un tentativo di fotorealismo datato 2009 con ricalcati sopra i fumetti Marvel degli anni Novanta. Al contrario Blue Manchu, Shedworks e Arc System Works hanno progettato i loro giochi fin dal principio perché sembrassero dei fumetti. Come hanno fatto? Con un approccio molto preciso e molto controllato in termini di art direction.
I team artistici al lavoro sia su Void Bastards che su Sable sono piccoli. Mentre la squadra di artisti di Arc System Works può aumentare le proprie fila—variando di grandezza da 12 a 34 persone, a seconda del progetto e dello stadio dello sviluppo—Blue Manchu e Shedworks sono piccoli studi indipendenti. Su Sable lavora l’art designer Kythreotis con Micah Holland, che si occupa delle animazioni, e Shanaz Byrne, che disegna i personaggi, mentre la squadra artistica di Void Bastards è coordinata da Lee ed è composta solo da tre altre persone: Dean Walshe, Irma Walker e Jay Kyburz.
«È una cosa che ho dovuto seguire per l’intera durata della produzione», dice Lee, «perché avrebbe potuto sfuggire di mano molto facilmente. Per quanto riguarda lo stile grafico, in Void Bastards il trucco è preservare l’illusione. Non è qualcosa su cui si potevano mettere all’opera molte persone, perché bastano un paio di cose fuori posto e l’intero impianto visivo crolla molto presto».
«Lavorarci quindi è stata un’esperienza davvero intensa, ma ha funzionato perché una volta definito ciò che volevamo ottenere, ci siamo strettamente attenuti a quello. Abbiamo provato a non appesantirlo troppo, e abbiamo evitato di aggiungere qualsiasi altra caratteristica che non fosse assolutamente necessaria. È un modo intelligente di condurre un progetto indipendente, ma è molto controllato. Molto più di quanto in generale mi piaccia approcciare lo stile visivo di un videogioco. Ma doveva essere così. Doveva esserlo per forza, o non avrebbe funzionato».
Mantenere la rotta
Mentre Sable e le opere di Arc System Works si ispirano ai fumetti, Void Bastards è più esplicito in merito al suo medium di riferimento. Lo stile dei fumetti non è solo un’influenza; Lee vuole che il giocatore abbia l’impressione di trovarsi dentro un albo a fumetti. Un bordo bianco delimita lo schermo in ogni momento. Le cutscene sono delle vignette in movimento. I rumori sono accompagnati da boom e bang stilizzati. I videogiochi si sono lasciati spesso influenzare dal cinema per accrescere il loro prestigio; puntare ai fumetti è più inusuale, e richiede una grande dedizione da parte del loro team creativo.
«Ho avuto molte discussioni a proposito dei bordi per ogni schermata e per gli elementi al suo interno», dice Lee. «Mi dicevano: liberiamocene. Invece no, sono importanti. È importante per l’aspetto del gioco che il pubblico capisca che sta cercando di imitare i fumetti. Se riesco a fare in modo che tutto si muova e che sembri comunque di trovarsi dentro a un fumetto, ho fatto il mio lavoro con questo gioco. È una cosa che toglie anche pressione al resto dello sviluppo. Se i giocatori si aspettano che sia un fumetto, non pretenderanno una grafica spettacolare».
Gli sforzi di Shedworks richiedono allo stesso modo una mano ferma al timone di comando. Per Kythreotis, imparare ad aiutare il team artistico a conservare lo stile visivo di Sable ha fatto parte dei tanti cambiamenti occorsi dal momento in cui Shedworks è passata dallo sviluppo per mobile alla creazione di un gioco più grande e impegnativo per PC e console. «Il mio lavoro a questo punto», afferma Kythreotis, «è assicurarmi sia che ogni pezzo si inserisca bene nel contesto, sia che lo stile artistico resti coerente, e abbia senso all’interno del mondo che stiamo creando».
Fineberg ha dovuto imparare una lezione simile. «Coordinare altre persone è difficile—non lo avevamo proprio mai fatto in precedenza» dice. «Abbiamo assunto un altro programmatore due mesi fa e finora avevo scritto ogni singola linea di codice presente nell’intero gioco. Perciò so a cosa serve ogni parte del codice. Ci sono un milione di cose che so solo io, e ho dovuto spiegargliele. Non avevo mai dovuto pensare a questo aspetto prima».
Coniugare 2D e 3D
Il più grande problema che il direttore artistico di un gioco come Void Bastards deve risolvere è questo: come posso creare un gioco che somigli a una tavola illustrata in due dimensioni, ma offra anche un mondo esplorabile in 3D? «Si può usare Unity per sviluppare un gioco in 2D, ma al giorno d’oggi spesso anche il 2D viene creato con una prospettiva 3D—cioé avendo comunque un punto di vista all’interno della scena», spiega Jon Chey a proposito di Void Bastards. «I nostri sprite in 2D sono oggetti piatti collocati in realtà in un ambiente 3D. Non direi che Unity è pensato per fare giochi come Void Bastards».
Simili problemi li ha dovuti risolvere anche il team al lavoro su Sable. «Ce ne siamo occupati man mano che si presentavano», racconta Fineberg. «Se hai due rocce, e sono dello stesso colore, e una è vicino al giocatore, l’altra piuttosto lontana, come fai a capire quale hai di fronte? E quale distanza intercorre tra loro? Come ti occupi di queste cose?».
Yamanaka di Arc System Works invece tira fuori una vera e propria lista di difficoltà, dalla leggibilità della silhouette e dei movimenti dei personaggi («sono compatibili con l’ambientazione e con l’atmosfera?»), all’utilizzo delle luci e delle ombre, fino all’impatto che l’estetica del fumetto ha sul gioco. Ci sono tanti aspetti da considerare, ma ci sono anche modi per barare, sostiene Fineberg. «Negli anime a cui ci ispiriamo contano soprattutto l’inquadratura e la composizione», dice. «In un action-adventure in terza persona però non c’è molto che tu possa fare per ottenere belle immagini».
«Una maniera logica per ovviare al problema si trova in Shadow of the Colossus. Quando cavalchi, il cavallo si trova nell’angolo inferiore dello schermo, perciò sembra che tu stia percorrendo lunghe distanze, e l’inquadratura segue la composizione in terzi. È bello da vedere. Ma può funzionare solo perché non hai molto da fare. Ti trovi in sella e lasci che il cavallo si sposti in avanti. Penso che quando il giocatore sta esplorando ha bisogno di avere il controllo sull’inquadratura. Il gameplay deve avere la precedenza, se poi puoi renderlo bello da vedere, meglio ancora».
Tentativi ed errori
Di solito questo processo richiede una quantità estenuante di tentativi ed errori. Kythreotis per prima cosa decide se un elemento grafico—ad esempio l’hoverbike di Sable—si inserisce bene o meno nel mondo che Shedworks sta costruendo. Quindi abbozza un disegno su carta, un processo che lo aiuta a valutare quali problemi di design potrebbero emergere o essere risolti. Quindi passa al disegno in digitale, delineando l’elemento sul suo iPad Pro usando Procreate e una Apple Pencil.
«Ogni disegno che fai è utile, anche se stai solo ricalcando vecchi disegni, perché nel farlo riscopri le linee e ritrovi le decisioni che avevi preso, e quindi puoi aggiustarle, e questo può fare la differenza», spiega Kythreotis. A questo punto Kythreotis trasferisce i suoi disegni su Maya e inizia a trasformarli in modelli in 3D. Gli shader preparati da Fineberg vengono allora applicati al modello, e Kythreotis può vedere l’elemento progettato così come apparirebbe nel motore di gioco.
«Quando vedi il risultato nel motore di gioco, arriva il momento in cui scopri i problemi nel dettaglio», dice Kythreotis. «Da qui parte un processo di iterazione, avanti e indietro, ritoccando le texture e i modelli. Mettiamo che abbia una costruzione architettonica e che voglia vederla in scala all’interno del gioco. Prima ancora di capire che aspetto dovrebbe avere, ad esempio quale colore o qualsiasi altra cosa, uso un plugin chiamato ProBuilder e dentro Unity costruisco un primo asset».
Il primo gioco a cui Ben Lee abbia mai lavorato, Freedom Force, era un gioco ispirato ai fumetti insieme a Jon Chey. Il più recente gioco a cui Ben Lee ha lavorato è un gioco ispirato ai fumetti insieme a Jon Chey. Sono cambiate tantissime cose, però, da quando Lee quindici anni fa si è unito a Irrational Games per dare una mano a ultimare la grafica di Freedom Force in vista della pubblicazione del gioco. «Ciò che facciamo oggi sarebbe stato molto difficile allora», dice Lee. «Unity ha fatto un sacco di lavoro al posto nostro… mi sembra che abbiamo raggiunto, in quattro o cinque persone, risultati che dieci anni fa ne avrebbero richieste molte di più».
Chey si dimostra concorde. «Nel complesso, il processo artistico per un videogioco è diventato sempre più facile nel corso degli anni». Questo forse è un segnale positivo per il futuro. Diventando sempre più semplice realizzare un videogioco—basta dare un’occhiata al subreddit dedicato a Dreams—e anche più accessibile a livello economico, magari il prossimo decennio sarà caratterizzato dalla stessa esplosiva creatività che abbiamo visto nei dieci anni intercorsi da Borderlands.