Slay the Princess: un viaggio narrativo nella coscienza del giocatore

Un gioco basato sulle scelte che non hai la libertà di fare.

Quando si avvia Slay the Princess, ci si accorge subito che non ci sono molte cose che il giocatore può fare all’interno del gioco: dopo il passaggio per un menù iniziale dalle tonalità a un tempo trasognate e angosciose, il gioco si apre con una narrazione, come se si trattasse di una fiaba da seguire. Una fiaba sui generis, perché ha come protagonista il giocatore stesso, assente dallo schermo ma chiamato a interagire con la voce narrante ponendo (moltissime) domande.

Il gameplay è presto evidente: il tutto consiste nella scelta delle domande—sorprendentemente numerose e variegate—e, in misura minore, delle azioni da compiere per poter avanzare nella storia, come in una classica avventura grafica incentrata esclusivamente sui dialoghi. A livello tecnico, l’unica altra interazione possibile sta infatti nella facoltà di far ruotare lievemente con il mouse le varie scene di gioco—suggestivamente disegnate a fumetti con una traballante matita in bianco e nero—generando un lieve effetto parallasse.

Eppure, nelle sue limitazioni formali, Slay the Princess offre al giocatore un’enorme libertà di scelta a livello dialogico, come se il gioco compensasse la poca interattività sullo schermo traslando la libertà del giocatore dall’azione alla riflessione; una riflessione che, benché legata e sollecitata dalla notevole profondità della dimensione narrativa del gioco, diventa poi anche una forma di riflessività estendendosi agli stessi meccanismi ludici del titolo. Ciò che tiene insieme questi due aspetti—narrativo e ludico—è la peculiare dinamica di gioco basata sull’interazione tra tre forze: il narratore, il giocatore, la principessa.

Slay The Princess (Black Tabby Games, 2023)

Lusor in fabula

Poiché il gioco si propone nelle vesti di una fiaba, sembra lecito muoversi su un livello di analisi narratologico concentrando l’attenzione sulle forze o funzioni—ludiche e narrative—che ne determinano lo svolgimento, secondo una peculiare struttura triangolare: narratore – giocatore – principessa.

La prima forza che viene presentata è quella del narratore, che introduce la vicenda e ha il compito—più volte definito come “lavoro”—di descrivere ciò che avviene (o dovrebbe avvenire) nella storia e, dunque, nel gioco. Il narratore introduce il giocatore e la sua quest—uccidere la principessa evitando così la fine del mondo—e instaura con lui un dialogo rispondendo ai suoi interrogativi. Il narratore resta tuttavia al di fuori delle interazioni tra il giocatore e la principessa, a cui non può partecipare direttamente.

Personaggio principale non meglio identificato e autentica forza ludica della narrazione, o forza narrativa del gioco, è invece il giocatore stesso, che ha la facoltà (ma non l’obbligo) di mettere in questione ciò che il narratore enuncia, domandando chiarimenti, ascoltando o non ascoltando, in una sorta di messa in discussione o decostruzione degli stilemi della fiaba tradizionale.

L’irruzione del giocatore come personaggio principale autocosciente e dotato di libero arbitrio all’interno della fiaba è a tutti gli effetti il motore del gioco, che lo vedrà presto impegnato in un confronto/scontro con il narratore: un braccio di ferro tra l’istanza di controllo, la necessità dell’ordine prestabilito e quella, invece, di libertà di scelta portata dal giocatore stesso. Con il proseguire dell’avventura, il giocatore sarà spalleggiato da varie figure—sotto forma di voci—ognuna portatrice di un determinato stato d’animo o visione del mondo, le quali faranno da controcanto al narratore e da “coscienza” al giocatore.

Infine c’è la principessa. Entità allo stesso tempo sfingea e polimorfa, angelica e demoniaca, la principessa è il catalizzatore dell’azione narrativa, oggetto di ambivalenza cognitiva ed emotiva e soggetto motore del corso degli eventi. È il massimo pericolo contro cui mette in guardia il narratore—dall’alto di una presunta onniscienza—e la fonte, per il giocatore, di dilemmi etici e, soprattutto, esistenziali. La sua figura si presta volontariamente a una molteplicità di interpretazioni, in virtù anche delle trasformazioni cui va incontro nello sviluppo dell’avventura. Se non viene uccisa, sentenzia il narratore, il mondo finirà—qualunque cosa ciò voglia dire.

Slay The Princess (Black Tabby Games, 2023)

Fine del mondo, inizio del gioco

L’obiettivo del gioco, si è detto, sarebbe quello di uccidere la principessa. Una volta trovatasela di fronte, però, il giocatore ha la libertà di interagirvi e di scegliere di opporsi a tale compito. La scelta non ha tuttavia una grande rilevanza: si tratta solo di un escamotage, dell’introduzione a un meccanismo narrativo che costituisce anche la peculiarità ludica del titolo. Ben presto, infatti, si scoprirà che il destino della principessa è legato a doppio filo a quello del personaggio principale e cioè del giocatore. E che comunque vadano le cose il mondo dovrà finire: il che significa che la partita dovrà ricominciare.

All’interno della stessa partita, il giocatore si trova così sistematicamente a ricominciare la storia dall’inizio in quella che appare come una ripetizione, per poter porre nuove domande, compiere nuove scelte e guardare le cose da nuove prospettive. Solo così, a posteriori, assumono senso tutte le possibilità dialogiche che sono esplicitate fin dall’inizio sullo schermo, e tutte le azioni e risposte possibili: Slay the Princess è un gioco che implica costitutivamente la ripetizione.

Ripetizione che porta però con sé sempre una differenza: ogni “fine del mondo” implica un nuovo inizio che si apre con leggere variazioni sul tema—la stessa musica che cambia lievemente di tonalità; l’ambientazione che si presta espressionisticamente a diverse sfumature affettive; le nuovi voci che accompagnano il giocatore—che riflettono la molteplicità dei punti di vista di cui la coscienza del giocatore si arricchisce e che porteranno a compiere, secondo una peculiare struttura divisa in capitoli, un percorso a spirale ascendente verso la parte conclusiva.

Pur nella sua illusione di staticità, il gioco sviluppa comunque il suo corso narrativo: più che in virtù delle scelte compiute dal giocatore, per un senso quasi di accumulo e superamento, di volta in volta, di un punto di vista particolare—come l’enigmatica principessa sembra suggerire con le sue trasformazioni poliedriche e cubiste. Per questo si ha l’impressione che, anche disponendo dell’albero di tutte le possibilità dialogiche, ciò non porterebbe con sé alcuna soluzione ai dilemmi a un tempo narrativi e metafisici cui il gioco pone dinanzi. Del resto, viene esplicitato nei titoli di testa che “non ci sono scelte giuste o sbagliate”: compiere scelte, più che portare a un esito narrativo, sembra un modo di affermare la stessa libertà del giocatore.

Slay The Princess (Black Tabby Games, 2023)

Il paradosso della scelta

Libertà che passa per le numerosissime possibilità di dialogo che, se da un lato costituiscono l’enorme forza narrativa del gioco, dall’altro rimandano riflessivamente alla sua natura di medium ludico. Finezza del gioco, infatti, sta nel far sentire al giocatore uno iato tra ciò che è ludicamente e virtualmente possibile (le azioni e le possibilità astratte evocate dalle opzioni “esplorative” del dialogo) e il modo in cui è videoludicamente e praticamente realizzabile (ciò che può effettivamente avvenire sullo schermo e nella storia).

Ciò è vero in due sensi: dal punto di vista del gameplay, offrendo uno scarto tra le opzioni proposte e la loro realizzazione pratica (come quando appare ripetuta moltissime volte la medesima opzione “uccidi la principessa”; o quando vengono mostrate opzioni non cliccabili). Nel secondo senso, alludendo alle sue stesse limitazioni in qualità di gioco sotto una veste narrativa: per quanto abbia la facoltà di tergiversare, il giocatore a un certo punto dovrà entrare nel sotterraneo e dovrà compiere una scelta.

La libertà di scelta del giocatore, sembra suggerire il gioco, è in fondo illusoria: il narratore, infatti, descrive qualunque azione si scelga di fare, quindi ri-comprende sempre le possibilità di azione del giocatore in una specie di loop, come se il gioco prendesse come sua materia a livello narrativo i meccanismi di “libera scelta” che molto spesso sono impliciti e limitati nei videogiochi (qualsiasi scelta si compie poi il risultato è lo stesso). Un caso emblematico è ad esempio quando il narratore pone degli ostacoli alla libera scelta del giocatore, creando un muro che non gli permette di proseguire oltre.

È dunque per il tramite della funzione del narratore che questo meccanismo riflessivo della narrazione e del gameplay si sviluppa. Non a caso, esso trova il suo culmine e punto di non ritorno quando, in virtù delle stesse dinamiche di gioco, anche il giocatore riesce a compiere il suo “lavoro”: quello di sviluppare una coscienza unitaria (particolare ricorrente è quello dello specchio all’interno del gioco, spesso visibile ma in qualche modo inaccessibile e negato), prendendo il controllo della narrazione ed uscendo così vincitore non tanto dal confronto con la principessa quanto da quello con il narratore, sua vera nemesi.

Più del discorso sulla moralità, ciò che appare estremamente interessante in Slay the Princess è il modo in cui il gioco tematizza con la sua struttura l’agency videoludica, creando una specie di dialettica tra libertà e necessità attraverso la narrazione e il suo gameplay, come a voler rendere il giocatore consapevole dell’inganno che fa a se stesso sulla sua libera scelta. La risoluzione del gioco passa anche per questa consapevolezza: il giocatore è il vero deus ex machina, chiamato a rompere l’illusione narrativa con la coscienza della finzione.