Sorry We’re Closed: limiti e orizzonti delle scelte multiple

Un’esperienza narrativa con una coerenza estetica e tematica notevole.

L’elemento che contraddistingue il videogioco dalla maggior parte delle altre esperienze audiovisive è l’interattività, la capacità dell’utente—spettatore e giocatore—di interagire con una storia pre-scritta: il grado di interattività muta e si adatta ai generi videoludici e ai singoli testi, creando e offrendo modalità di gioco e attività ludiche che puntano all’unicità. Sorry We’re Closed si inserisce in questo contesto offrendo un gameplay vario che, sul piano narrativo, punta sulle decisioni del giocatore, sui risultati di questi e su conclusioni alternative. Sviluppato da à la mode games e pubblicato nel 2024 su PC e successivamente alla fine dell’inverno su console, Sorry We’re Closed si configura come un survival horror che fonde elementi tradizionali del genere con una struttura narrativa fortemente basata sulle scelte multiple: il giocatore assume il controllo di Michelle, una giovane commessa londinese intrappolata in una dimensione soprannaturale, alla ricerca disperata di una via d’uscita dalla maledizione inflittale dalla Duchessa, creatura androgina il cui desiderio d’amore non corrisposto costituisce il fulcro della trama.

Alternando punti di vista in prima e terza persona, l’ibrido gameplay di Sorry We’re Closed unisce esplorazione e combattimento, in un contesto in cui l’interazione con i personaggi-non-giocanti (NPC) è una componente fondamentale per la progressione narrativa. Il dialogo, il conflitto e la scelta determinano una tra quattro differenti conclusioni del gioco. Le scelte sono esplicitamente presentate come bivi narrativi che, una volta superati, generano conseguenze tangibili sia sulla superficie della storia sia in profondità sugli sviluppi individuali dei personaggi con cui Michelle interagisce. Attraverso il suo “Terzo Occhio”—meccanica che consente alla protagonista di percepire dettagli nascosti e accedere a informazioni inaccessibili—il giocatore arricchisce l’esperienza ludica contribuendo alla costruzione del percorso narrativo, caratterizzato da tensione orrorifica, indagine e sopravvivenza.

Dato il contesto narrativo-ludico in cui emerge Sorry We’re Closed, questo articolo offre una doppia analisi: evidenzia l’importanza dell’agency del giocatore nel modellare la narrazione interattiva e discute le implicazioni di tali meccaniche sul coinvolgimento e sulla soddisfazione videoludica. Come summenzionato, Sorry We’re Closed propone quattro finali distinti, ciascuno determinato dalle scelte compiute dal giocatore nel corso della narrazione: queste contano tanto decisioni morali quanto interazioni dirette con i personaggi secondari. Gli epiloghi sono così suddivisi e nominati: “Robyn” (facilmente accessibile e non richiede particolari condizioni, è il più lineare tra quelli disponibili): “Clarissa” (derivato da indagini, manipolazioni e scelte che introducono il concetto di moralità in relazione alle azioni compiute); “Chamuel” (il più intimo e riflessivo, le scelte del giocatore determinano vita o morte di uno dei due personaggi); “Lucy” (richiede una concatenazione specifica di azioni, porta alla distruzione della Duchessa e costituisce una risoluzione drastica della trama).

Sorry We’re Closed (Fonte: press kit)

Insieme al gameplay e alla narrazione, Sorry We’re Closed si distingue per uno stile visivo che mescola low-poly con texture dettagliate, generando un senso di spaesamento e distorsione percettiva, enfatizzando l’atmosfera surreale che permea tutto il gioco; inoltre, l’estetica queer, volutamente esagerata e vibrante, rappresenta un ulteriore elemento distintivo, non solo a livello visivo ma anche tematico. Creando un parallelismo tra orrore e desiderio sessuale, i personaggi sono caratterizzati da un design audace che sfida le convenzioni dei survival horror tradizionali, enfatizzando la fluidità di genere. Considerati i molteplici elementi che vanno a costituire l’esperienza videoludica di Sorry We’re Closed, è necessario introdurre brevemente la modalità di analisi, nonché disciplina afferente ai game studies, impiegata nel presente articolo: la narratologia.

Definita da Fotis Jannidis come “lo studio sistematico delle strutture narrative e delle modalità con cui le storie sono raccontate”1, nasce come branca della teoria letteraria e si adatta ai nuovi linguaggi e alle forme espressive digitali, tra cui i videogiochi. Qui, la narratologia analizza il contenuto narrativo in senso stretto e i modi con cui si intreccia con le meccaniche di gioco e con l’interattività. Espen Aarseth, uno dei principali teorici dei game studies, introduce il concetto di “cybertesto”, un testo che richiede l’intervento attivo del lettore (giocatore) per essere completato2. Secondo questa formulazione, il videogioco è dunque un medium ibrido in cui narrazione e ludico si intrecciano in maniera indissolubile. Agli studi di Aarseth è possibile affiancare quelli di Henry Jenkins, che ipotizza l’esistenza di “spazi narrativi”, luoghi videoludici in cui la narrazione emerge dall’esplorazione libera degli ambienti piuttosto che dalla linearità di una trama prestabilita3. L’approccio di Jenkins si concentra sulla capacità dei videogiochi di creare esperienze narrative attraverso la scoperta e l’interazione con il mondo di gioco. L’interazione è determinata dalla agency, vale a dire “la capacità di influenzare significativamente il mondo di gioco e la narrazione attraverso scelte e azioni”—concetto necessario per comprendere la relazione tra interattività e narrazione nei videogiochi.

Uno studio condotto dal gruppo di ricerca di Huy Nguyen ha portato alla distinzione tra “agency alta” (high-agency) e “agency bassa” (low-agency)4: la prima si riferisce a scelte che producono conseguenze radicali e strutturali nella trama – costituisce un valido esempio Detroit: Become Human (2018), in cui ogni decisione ha potenziali effetti sulla narrazione. Contrariamente, la low agency è caratterizzata da scelte che influenzano dettagli minori, estetici o esclusivamente esperienziali, senza modificare significativamente la struttura narrativa—The Stanley Parable (2013) gioca deliberatamente con l’illusione della scelta per dimostrare i limiti stessi dell’agency. Secondo gli studiosi—i cosiddetti ludologi—che si contrappongono alla narratologia, prestando maggiore attenzione alle meccaniche e dinamiche di gioco proprie del videoludico, la modalità narrativa “decisionale” summenzionata dimostra in realtà l’illusione della scelta.

Sorry We’re Closed (Fonte: press kit)

Spesso, anche nei videogiochi più sofisticati, le ramificazioni narrative tendono a ri-convergere verso esiti prestabiliti, riducendo la reale portata dell’agency: ne consegue il problema della “dissonanza ludonarrativa”, espressione introdotta da Clint Hocking nel 2007. Essa si verifica quando c’è un conflitto tra le meccaniche di gioco (ludo) e la narrazione (narrative), tale da compromettere la coerenza complessiva dell’esperienza—il giocatore percepisce un controllo apparente sulle proprie azioni, ma si accorge che non hanno un reale impatto sugli sviluppi della trama5. In questi casi, la promessa di un’agency significativa è sostituita da una struttura narrativa che limita drasticamente la possibilità di ottenere finali autenticamente diversi.

È dunque possibile inserire Sorry We’re Closed all’interno di questo dibattito, offrendo un interessante caso di studio per comprendere come le scelte multiple possano essere gestite per ottenere finali alternativi che risultino coerenti e soddisfacenti con il gameplay. La possibilità di influire sulla narrazione attraverso decisioni significative è al centro del concetto di agency e determina gran parte del coinvolgimento emotivo e cognitivo del giocatore In tal senso, Sorry We’re Closed adotta un sistema di narrazione ramificata che si sviluppa attraverso scelte chiave: a differenza di altri videogiochi dello stesso genere, non presenta un’unica diramazione, ma una serie di nodi decisionali che modificano significativamente l’esperienza complessiva. Ognuno dei quattro finali alternativi citati è raggiungibile attraverso un processo di interazione con i personaggi e con l’ambiente, in cui la raccolta di indizi e la scelta di dialoghi specifici risultano determinanti.

L’agency dell’utente in Sorry We’re Closed si manifesta attraverso le scelte di dialogo e in alcune fasi delle missioni secondarie: ogni finale è collegato a specifici archi narrativi di differenti NPC, con una struttura narrativa che contribuisce a creare un sistema dinamico che invita alla rigiocabilità. Ma ciò che rende davvero pregnante questa struttura non è solo la varietà degli esiti narrativi, bensì il coinvolgimento emotivo che tali scelte generano: Sorry We’re Closed offre molto più di semplici diramazioni meccaniche o bivi preimpostati: ogni decisione ha ripercussioni sulle relazioni interpersonali, spesso piene di ambiguità, vulnerabilità, paura, amore e desiderio. Le scelte del giocatore diventano così emotive: dire sì o no, sostenere o tradire un personaggio, trascende la logica videoludica e si inserisce in una rete emozionale che richiama dinamiche intime riconoscibili. La conclusione narrativa non è solo un punto di arrivo strutturale, ma il risultato dell’investimento relazionale che il giocatore ha costruito lungo il cammino. In tal senso, la rigiocabilità in sé non si basa esclusivamente sulla curiosità o sul completismo, ma sulla possibilità di esplorare emozioni diverse, potenziali legami e sfumature emotive attraverso altre strade, cambiando così il significato dell’intera esperienza narrativa.

Sorry We’re Closed (Fonte: press kit)

L’analisi delle singole scelte multiple in Sorry We’re Closed evidenzia alcuni pregi e limiti del sistema adottato: da un lato, il gioco offre una pluralità di percorsi narrativi che si traducono in finali alternativi coerenti con le scelte compiute—un punto di forza che incentiva il giocatore a esplorare attivamente; dall’altro, il gioco non garantisce un’esperienza unica per ogni utente—alcune scelte risultano più rilevanti di altre, laddove molte diramazioni si riconducono a esiti comuni o interazioni leggermente variate. Questo fenomeno, sebbene comprensibile dal punto di vista del game design, può generare un senso di frustrazione per chi si aspetta una libertà decisionale più ampia. Si tratta di un elemento comune a videogiochi del genere avventura grafica o a quegli esperimenti che tentano di rendere il medium una formula sempre differente, di giocatore in giocatore e di partita in partita. Nonostante ciò, il valore di Sorry We’re Closed risiede anche nella capacità di creare un’esperienza narrativa che, pur nei suoi limiti, riesce a mantenere una coerenza estetica e tematica notevole. L’atmosfera surreale e queer del gioco, uniti all’uso sapiente del “Terzo Occhio”, contribuiscono a creare un prodotto che rappresenta un esempio significativo di narrazione ramificata nel panorama videoludico contemporaneo.

In particolare, il tema della rigiocabilità nel survival horror risulta particolarmente interessante, trattandosi di un genere e contesto videoludico caratterizzato da narrativa e gameplay lineari e predeterminati. Sorry We’re Closed rompe questo schema, offrendo al giocatore la possibilità di esplorare ambienti e linee narrative confrontandosi con orizzonti differenti. La rigiocabilità non è dunque solo un valore aggiunto, è parte integrante dell’esperienza ludica, spinge il giocatore a sperimentare con le diverse possibilità offerte dal gioco sia da un punto di vista diegetico che extra-diegetico. Rispetto ad altri titoli come Until Dawn o The Quarry, che utilizzano anch’essi meccaniche di scelte multiple, Sorry We’re Closed si afferma per l’originalità del suo setting e per la presenza di temi inclusivi che arricchiscono l’esperienza complessiva. La sua capacità di combinare meccaniche di gioco tradizionali con innovazioni tematiche-narrative rende il titolo un esempio significativo del potenziale in fase di esplorazione della narrazione interattiva.

Sorry We’re Closed evidenzia l’importanza di trovare nuovi modi per integrare l’agency del giocatore in modo coerente e significativo: innovazioni tecnologiche come il machine learning e la narrazione procedurale potrebbero rappresentare strumenti efficaci per superare i limiti videoludici attuali, nella direzione di esperienze narrative realmente uniche e dinamiche. Suggerendo la possibilità di esplorare ulteriormente temi legati all’identità e alla diversità mediate dall’agency, Sorry We’re Closed pone l’attenzione sul design delle emozioni e la loro caratterizzazione, rappresentando un esempio positivo di come il medium videoludico possa essere impiegato per esplorare argomenti complessi e attuali.

Note

  1. Jannidis, F. 2003. Narratology and the Narrative. In: Kindt, T. and Müller, H. ed. What Is Narratology?: Questions and Answers Regarding the Status of a Theory. Berlin, New York: De Gruyter, pp. 35-54. https://doi.org/10.1515/9783110202069.35 ↩︎
  2. Aarseth, E. 2007. Cybertext. Perspektiven zur ergodischen Literatur: Das Buch und das Labyrinth (1997). In: Bruns, K. and Reichert, R. ed. Reader Neue Medien: Texte zur digitalen Kultur und Kommunikation. Bielefeld: transcript Verlag, pp. 203-211. https://doi.org/10.1515/9783839403396-019 ↩︎
  3. Jenkins, H. 1998. Complete freedom of movement: Video games as gendered play spaces. From barbie to mortal kombat: Gender and computer games, 1, pp. 262-296. ↩︎
  4. Nguyen, H., Harpstead, E., Wang, Y., McLaren, B.M. 2018. Student Agency and Game-Based Learning: A Study Comparing Low and High Agency. In: Penstein Rosé, C., et al. Artificial Intelligence in Education. AIED 2018. Lecture Notes in Computer Science, vol 10947. Springer, Cham. https://doi.org/10.1007/978-3-319-93843-1_25 ↩︎
  5. Hocking, C. 2009. Ludonarrative dissonance in Bioshock: The problem of what the game is about. Well played 1.0, 255-260. ↩︎