Nietzsche muore nel 1900, undici anni dopo aver perso il senno a Torino, quando in piazza Carignano, come riporta Camus nei suoi Taccuini, “impazzito, fermò un cavallo picchiato dal suo corriere e lo baciò follemente sul muso”. Non fu l’unico grande pensatore a morire pazzo: Gödel ad esempio, convinto che qualcuno lo volesse avvelenare, iniziò a rifiutarsi di mangiare qualsiasi cosa non fosse stata preparata dalla moglie; e quando lei non fu più presente in casa, perché si ammalò e venne ricoverata in ospedale, morì di fame (e questa è una storia di pazzia ma, a suo modo, anche una storia di romanticismo, o meglio di amore e fiducia che sopravvivono alla pazzia).
Camus, quando muore nel 1960 in un incidente automobilistico insieme al suo editore Gallimard, ha nella sua borsa La gaia scienza di Nietzsche. Anche lui non fu l’unico grande intellettuale a cui fu fatale un’autovettura: Barthes uscendo dal Collège de France venne investito da un furgoncino. A unire i due non c’è solo questa strana corrispondenza, con un libro di Nietzsche sul luogo in cui muore Camus e con la morte di Nietzsche nei Taccuini di Camus, che del resto in quelle pagine lo cita, lo omaggia, lo critica e ci si confronta decine di volte.
Nietzsche e Camus hanno in comune soprattutto il medesimo approccio nei confronti della vita: edonistico, epicureo, dionisiaco contro l’apollineo, contro i sensi di colpa e lo spirito di sacrificio. La sola differenza sarà, come nota Michel Onfray in L’ordine libertario, nel fatto che Nietzsche dirà sì a tutto, tanto al bene quanto al male, ponendo così le basi per farsi strumentalizzare dai nazionalsocialisti; Camus invece dirà sì solo a ciò che afferma e aumenta la vita, rivoltandosi contro tutto quello che al contrario la nega o la diminuisce.
Il filosofo francese nei saggi raccolti in Nozze, così come in molti dei suoi romanzi, dedicherà bellissime pagine alle nuotate in mare, al calore del sole sulla pelle, al ronzio degli insetti, all’odore dei fiori; viaggerà molto e ovunque cercherà le sensazioni che gli rendono tanto cara la terra in cui è nato, l’Algeria; amerà il Mediterraneo per il clima e detesterà per lo stesso motivo il nord Europa. Da ateo, Camus crede che non ci sia nulla dopo la morte; in compenso prima c’è la vita, e il suo invito allora è a rendere quanto più possibile larga e piena la propria presenza nel mondo, perché aver saziato tanto il cervello quanto la carne è l’unico modo per poter arrivare a una morte felice.
L’idea alla base di Spiritfarer sembra essere proprio questa, e nel nuovo gioco sviluppato da Thunder Lotus—lo studio di Jotun e Sundered—per raggiungere una morte felice gli spiriti hanno a disposizione un ultimo frammento di esistenza: un breve periodo da passare quasi come fossero in vacanza, a bordo di una barca da noi costruita e condotta calandoci nei panni della giovane Stella, nuova traghettatrice alla quale Caronte, dimostrandosi uno psicopompo inaspettatamente sensibile alla questione del ricambio generazionale, ha deciso di cedere il delicato compito.
Sembrano aver tutti letto attentamente Nietzsche e Camus, questi spiriti che trasportiamo: hanno certo anche desideri astratti e mentali—provare a ricongiungersi con una persona amata, ritrovare certi ricordi, trasmettere alcune conoscenze, completare un percorso artistico—ma ne hanno soprattutto di ben più terreni: vogliono, insomma, godersi appieno e per un’ultima volta la vita. Non tutti se ne andranno privi di rimpianti, o certi di non aver lasciato nulla di incompiuto; moriranno però felici nel senso in cui usiamo l’espressione qui, completando insomma il loro bagaglio di esperienze del mondo. Dunque mentre sono nostri ospiti suonano di continuo strumenti musicali, si dedicano ai propri hobby, ci raccontano storie, e inoltre sono sempre affamati, e ci riempiono costantemente di richieste.
Noi facciamo del nostro meglio per accontentarli e ci spostiamo con la barca da un’isola all’altra, sotto il sole e sotto la pioggia, attraverso paesaggi invernali, o industriali, o urbani, o lussureggianti di vegetazione, cercando a volte altri spiriti, ma più spesso le risorse necessarie a esaudire i desideri di quelli che abbiamo a bordo: una casa tutta per loro, un arredamento adeguato, e i loro piatti preferiti da mangiare, secondo i rispettivi gusti culinari, spesso molto elaborati; e nel frattempo per far fronte a tutte le varie esigenze ingrandiamo e potenziamo l’imbarcazione con nuove strutture, ed ecco allora il campo, il frutteto, il telaio, la forgia, la segheria, l’ovile e via dicendo, nella forma di una simpatica serie di mini-giochi legati all’aspetto gestionale della barca—a cui si aggiungeranno pure altri mini-giochi sparsi poi qua e là sulla mappa, utili al reperimento dei materiali più esoterici.
Il ritmo di Spiritfarer è nelle fasi iniziali piuttosto lento, tanto che sembra non ci sia poi molto da fare sulla barca durante la navigazione, ma già dopo poche ore di gioco le attività si moltiplicano, e l’impressione diventa invece quella di non aver mai abbastanza tempo a disposizione; il gameplay in ogni caso non si fa mai frenetico, anzi si rivela estremamente cozy e rilassante: peschiamo, abbattiamo alberi, picconiamo minerali, coltiviamo e raccogliamo frutti con lo stesso animo con cui lo faremmo in Animal Crossing, e il franchise di Nintendo non a caso è esplicitamente omaggiato in Spiritfarer con il nome di una catena di negozi. C’è di più: come nota Tom Marks in sede di recensione su IGN, Spiritfarer può essere pensato proprio come un Animal Crossing in cui i visitatori dell’isola del giocatore, invece di andarsene solamente, a un certo punto si sentono finalmente pronti a morire e chiedono di essere accompagnati nel loro ultimo viaggio.
Spiritfarer non è privo di punti deboli. Innanzitutto a volte non è affatto chiaro come procedere, perché il gioco prima ci abitua a trovare le risorse seguendo certi schemi ricorrenti, poi ne richiede altre che però è possibile ottenere solamente in maniera diversa. Inoltre, sempre a proposito di risorse, appare avventata e imprudente la scelta di renderne disponibile una molto importante solo nel momento della dipartita di uno dei nostri ospiti: già la scrittura si dimostra raramente in grado di farci sviluppare una particolare connessione emotiva con gli spiriti che trasportiamo; se poi per procedere nel gioco diventa necessario liberarsi di qualcuno di loro, si finisce col farlo quasi con la stessa euforia con cui Fantozzi butta giù le suore dalle scale per farsi largo nei suoi momenti di maggiore esaltazione—ed è facile vedere come questo vada contro le intenzioni del gioco, che ci invita invece ad abbracciare tutti.
Si tratta comunque di sottigliezze, perché Spiritfarer vince la scommessa più importante: fare propria la lezione di Nietzsche e Camus e riuscire a restare sempre leggerissimo pur mettendo ripetutamente al centro del suo gameplay un tema come la morte, senza che tale scelta appaia mai azzardata. Anzi, complice lo stile artistico, capace di ricordare i lavori dello Studio Ghibli, Spiritfarer attraverso il racconto della morte propone una grandiosa e sincera celebrazione della vita, affrancandosi dall’impostazione sofferente e penitenziale basata sull’elaborazione del lutto e sulla rappresentazione del dolore che ha caratterizzato tanti giochi, anche di grande successo, dedicati allo stesso tema. Tanto basta a mettere questa nuova opera di Thunder Lotus molto in alto tra i migliori videogiochi usciti finora nel 2020.