L’assonanza tra cyberpunk e Cloudpunk non è per nulla casuale: l’ultima avventura di Ion Lands ci trasporta nel mondo di Rania, ragazza dell’“East Peninsula” appena trasferitasi nella grande metropoli di Nivalis. Questo gioco neon-noir e story-driven prende infatti alcuni temi del filone fantascientifico nato negli anni Ottanta (con le radici nella fantascienza degli anni Sessanta, si veda Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick) e lo mescola con tante sottotrame criminali, che toccano in prima persona la protagonista, per quanto lei cerchi tranquillità e stabilità. Rania incarna in parte lo spirito originale dei soggetti cyberpunk, prima che diventasse mainstream: è una ribelle quasi nullatenente, ha un passato difficile per colpa dei debiti dei genitori, e lavora per un’agenzia illegale di consegne che cerca di sfuggire alle autorità, nello specifico alla CorpSec, anche se manca quel “dissenso organizzato” che ha caratterizzato questa derivazione fantascientifica.
Nonostante si possa criticare il gioco per la sua ripetitività, per la sensazione di non poter interagire effettivamente in modo efficace e per un soggetto che magari appare debole, svilire completamente la storia di Thomas Welsh sarebbe un’offesa ingiustificata. Cloudpunk pone alcune domande etiche a cui non si può restare indifferenti, in uno scenario sicuramente non “fresco” e innovativo, ma esteticamente piacevole, realizzato in voxel art. Visivamente, il mondo di Nivalis non è eccentrico come altri casi famosi che abbiamo visto in questo ventennio (si pensi ad Altered Carbon, Blade Runner 2049), ma ripropone un’atmosfera cara al genere, con insegne al neon (manca la derivazione “orientaleggiante” presente in molte opere), palazzi che sembrano fluttuare sulle nuvole, lontani dalla terra (che ricordano un po’ BioShock Infinite, depurato ovviamente dall’influenza steampunk) e una società basata sul consumismo massificato in cui però le gerarchie sociali costruiscono una prigione da cui è quasi impossibile evadere (contro il topic dell’“uguaglianza nella matrice” tipicamente cyberpunk).
Leitmotiv del genere che vengono riproposti sono poi il multiculturalismo e soprattutto le flying cars: Rania infatti guida un HOVA, una macchina volante che ricorda tanto sia quelle di The Fifth Element, disegnate da Jean Giraud e Jean-Claud Mezieres, che gli “spinner” di Blade Runner, anch’esso ambientato in un contesto cyberpunk-futuristico nella Los Angeles del 2019, disegnate da Syd Mead. Tutti elementi di un’estetica che, come sostiene Paul Walker-Emig, non è cambiata dagli anni Ottanta ed è rimasta abbastanza statica perché rappresenta ancora il mondo in cui viviamo: “il potere delle multinazionali si diffonde in tutto il mondo, così come le disuguaglianze, dove le AI e la tecnologia offrono sia una promessa di liberazione che una potenziale e possibile nuova forma di dominazione”. La dottoressa Anna McFarlane, studiosa di cyberpunk all’università di Glasgow, dice: “il cyberpunk offre una visione di una società globalizzata e post-nazionale, dove coloro che sanno come manipolare le informazioni sono vincitori, una visione del mondo molto vicina alla nostra”.
Una prerogativa del genere infatti è quella di spostare l’asse dalla fantascienza futuristica che oscilla intorno ad astronavi, missioni spaziali, alieni e tutto ciò che è troppo distante dalla Terra, per ricondurre tutto ad un futuro più prossimo, dove la globalizzazione ha sostituito ogni forma di identità culturale, ma soprattutto dove la tech-sophia e il progresso tecnologico hanno dato vita ad un tessuto sociale molto vario: gli abitanti di Nivalis sono cyborg, umani, automata e androidi. Tra questi ultimi c’è il fedele ex-“animale domestico” della protagonista, Camus, la coscienza di un cane che viene “trapiantata” nel dispositivo dell’auto che controlla chiamate, navigatore, segreteria; proprio Camus porrà una delle domande esistenziali più interessanti: “se dovessi restare una macchina troppo a lungo, smetterei di essere un cane?”. Camus appare drammaticamente preoccupato sia per il possibile distacco dalla sua padrona, ma anche per la perdita della sua “caninità” dovuta alla trasposizione della sua coscienza dal proprio corpo originale ad un dispositivo tecnologico; in questo senso traspare un possibile annichilimento della mortalità, dove “il corpo perde la sua centralità nel sistema binario esistenza-realtà, le antiche paure delle malattie, delle morti accidentali e dell’invecchiamento sono scomparse”.
Un altro spunto interessante di riflessione è la questione che Rania affronta consegnando un pacco ad una ditta: circa duemila androidi senza personalità ed individualità proprie lavorano incessantemente per Mr. Anderson, il creatore di cui tutti sono replicanti; essi però non sono consapevoli della sua morte e portano avanti un progetto, autogestendosi. L’intervento di Rania riapre un topic ricalcato anche da Detroit Become Human: gli androidi, in quanto “creazioni senz’anima” sono comunque creature che meritano dei diritti? I diritti sono legati alla coscienza e appare inutile darne a qualcosa che potenzialmente non ha preferenze, non prova sofferenza, non ha paura della morte; ma se fossero programmati in modo da poter provare qualcosa, cos’è che li renderebbe “più umani”? La capacità di “pensare”, come fu chiesto ad Alan Turing prima che inventasse il Turing Test, non è un requisito sufficiente perché è un concetto troppo vasto da definire. In Il cacciatore di androidi, l’eccezionalità dell’essere umano è resa tramite l’opposizione tra gli animali e gli androidi: la cura per i primi rende gli umani tali, perché capaci di provare empatia reciproca.
Un altro tema ripreso è tra i cardini del cyberpunk: gli hacker, i “cowboy del cyberspazio” immersi nell’illegalità, sono incarnati da Rubrick, lo scagnozzo informatico di Lomo, un malvivente con cui Rania entra involontariamente in contatto. Rubrick tenta di diffondere un pericolosissimo virus, evoluzione del Pallid 1.0 che poteva contagiare i dispositivi elettronici: il Pallid 2.0 contagia anche gli esseri umani, rendendo le funzioni vitali delle decisioni consce: così l’individuo deve essere cosciente di ogni respiro e di ogni battito, che non continueranno senza comando. E’ una piaga che però non ha alcuno scopo se non il ricavato in danaro, allontanando così il personaggio di Rubrick, per esempio, dal desiderio di democratizzazione dei dati che caratterizzava i tecnoanarchici. Tutte queste vicende umane e robotiche si svolgono a Nivalis, che è un agglomerato urbano variegato e composito anche dal punto di vista cetuale, con da un lato the Spire e dall’altro i bassifondi dove sono reclusi i dimenticati dalla società. Nivalis è devastata da ingiustizie, incidenti, criminalità, fino a quando non emerge Cora, una parola che raccoglie misticismo, scaramanzia e profezia: la città sembra l’avatar di questa nuova divinità emergente, una dea che non crea ma emerge dai suoi creatori/sudditi, distaccata dal concetto di immortalità che il nuovo rapporto organico con la tecnologia ha comportato. Cora è un nuovo essere emergente, un sistema cosciente, amalgamazione di computer, androidi e vite umane della città; sorprendentemente, in questo gioco siamo noi a decidere le sorti di una divinità nascente che potrebbe “permettere l’estensione delle capacità dell’uomo e finalmente il superamento dei suoi limiti”.