Two Point Museum è lo stato dell’arte dei gestionali

Il miglior gioco di Mark Webley e Gary Carr.

La vita di Mark Webley e Gary Carr, almeno sotto l’aspetto professionale, a un certo punto poteva sembrare un incubo. Uno di quelli in cui un traguardo tutt’altro che lontano si rivela e poi si conferma più volte irraggiungibile. Nel giro di pochi anni quello stesso percorso lavorativo ha preso la direzione del sogno. Ripercorrere questa storia equivale a mettere in luce un bel pezzo di ciò che non funziona nel settore videoludico, ma soprattutto quanto sarebbe facile sistemarlo.

Webley e Carr, nel 1995, lavorano alla Bullfrog. Lo studio vuole dare un seguito a Theme Park, ma il lead designer di quel gioco, Peter Molineaux, è già impegnato nella creazione di Dungeon Keeper. Così sono loro due a dare forma a Theme Hospital, che resta forse il miglior videogioco gestionale in assoluto degli anni Novanta. Vorrebbero continuare la serie con titoli simili, ambientati magari in un villaggio vacanze o in una prigione, ma nel frattempo Electronic Arts acquisce Bullfrog, e non mostra molto interesse verso quei progetti.

Il 1997 è l’anno in cui escono Dungeon Keeper, Theme Hospital, e Molineaux da Bullfrog, per fondare Lionhead; Webley e Carr lo seguono, e negli anni successivi partecipano allo sviluppo di Fable e The Movies. Anche questa nuova fase conosce un prima e un dopo, e a fare da spartiacque è di nuovo un’acquisizione, questa volta da parte di Microsoft, nel 2006. Nessuna nuova IP ottiene il via libera, perché bisogna alimentare il franchise Fable e pensare a progetti per mostrare le potenzialità del Kinect. Nel 2013 Webley lascia. Nel 2015 Carr lo imita. È tempo di mettersi in proprio, e di fare le cose che amano di più.

Two Point Museum (Fonte: press kit)

Partono proprio dall’intenzione di riprendere l’idea di Theme Hospital, e quando finalmente riescono ad attirare l’attenzione di un publisher importante come Sega, beh, sono solamente loro due: non hanno un team di sviluppatori. Nel marzo del 2016 però Microsoft chiude Lionhead, e all’improvviso ecco fatto, hanno la migliore squadra possibile, composta da ex colleghi che già conoscono bene. Two Point Studios nasce così, volendo fare una cosa sola, fatta bene: «Non dovevamo essere quel franchise da un miliardo di dollari. Non dovevamo vendere milioni di copie. Alle persone piacevano quei giochi e a noi piaceva crearli, quindi perché non farlo per quel pubblico? E se non stai spendendo una fortuna per svilupparli, finché generano un ritorno ragionevole, non è forse questo un business?», ha spiegato Carr intervistato sul numero 402 di Edge. È davvero così semplice.

Non c’è mai più di un gioco in produzione alla volta, non ci sono mai più di 2 o 3 prototipi in fase di sviluppo, a Two Point Studios. Dal 2018 a oggi escono tre giochi, Two Point Hospital, Two Point Campus e ora Two Point Museum, che incontrano un mercato videoludico già saturo di proposte per ogni genere, compresi i gestionali; eppure emergono subito come qualcosa di unico. Troppi titoli si perdono nella vacuità di un enorme sandbox game, dove chi gioca non trova né obiettivi né elementi narrativi, e presto nemmeno la motivazione per continuare; oppure, per offrire personalizzazione, atomizzano ogni costruzione a livelli di dettaglio assurdi, con staccionate da rifinire un palo alla volta; o ancora, chiedono al giocatore di trasformarsi in un ingegnere per gestire cicli e catene di produzione con la massima efficienza; oppure lo riempiono presto di soldi, azzerando il grado di sfida.

I titoli di Two Point Studios evitano con grande disinvoltura tutte le classiche trappole in cui cadono i gestionali, e rappresentano lo stato dell’arte del genere soprattutto per quanto riguarda il famoso “flusso”, per cui il giocatore ha sempre tanto da fare, tra obiettivi principali e secondari, ma questi compiti non risultano mai opprimenti o sorverchianti rispetto a quello che deve restare lo scopo principale di un videogioco: divertire. A tutto ciò si aggiunge quell’aspetto umoristico che è sempre stato un marchio di fabbrica delle creazioni di Webley e Carr.

Two Point Museum (Fonte: press kit)

Così, dopo le buffe malattie di Hospital e gli improbabili corsi di Campus, anche Museum offre un’interpretazione tutta particolare del tema scelto. Se l’esperienza di gioco di Campus nelle fasi iniziali era praticamente identica a quella di Hospital, e se ne discostava poi quel tanto che bastava a giustificare un nuovo capitolo della serie, Museum fin da subito introduce novità molto significative, a livello di meccaniche e di gameplay. In un museo viene meno sia uno scopo preciso, orientato a un risultato, come può essere guarire o imparare; sia un rapporto diretto tra ospiti e personale, com’è quello tra pazienti e dottori, o tra alunni e insegnanti. Questo si traduce in un’organizzazione delle strutture non più basata sulle stanze, ma sugli spazi; Museum chiede di essere gestori ma anche architetti, offrendo grande libertà creativa nell’allestimento di due tipi di aree che devono restare separate ma allo stesso tempo essere l’una funzionale all’altra: quelle riservate alla conduzione del museo, e quelle attraverso cui prende forma il percorso espositivo.

Se queste novità influiscono sul gameplay ma sono più che altro di concetto, il tema museale consente anche l’introduzione di meccaniche di gioco completamente inedite: in primo luogo, i reperti vanno trovati. Ecco allora tutta una parte dedicata alle spedizioni e alla loro logistica, con bonus e malus che dipendono dal livello di formazione del personale in partenza. In secondo luogo, i reperti sono preziosi: serviranno allora telecamere e guardie di sicurezza per difenderli da vandali e ladri, in una parte del gioco che è già stata un po’ criticata in quanto, forse, un po’ troppo ansiogena. Ci sono degli eventi in cui il museo viene preso di mira, e la natura sfuggente dei criminali, che si rendono irriconoscibili mescolandosi tra la folla, genera molta più tensione rispetto alle analoghe emergenze di Hospital, dove in fin dei conti si trattava solo di veder arrivare un gruppo di pazienti in blocco.

Un ultimo importante cambiamento lo si scopre non appena si passa dal primo museo, dove verranno esposti fossili preistorici, ai seguenti: fedele all’improbabilità che contraddistingue la serie, il gioco ci proporrà di mettere in mostra tutt’altro genere di reperti, tanto da dover organizzare spedizioni persino nell’oltretomba, o nello spazio. Ciascuno di questi musei avrà meccaniche dedicate, risultando a tutti gli effetti una sorta di mini-gioco autonomo. È forse questo il motivo per cui i musei sono solamente cinque, contro i quindici ospedali di Hospital e le dodici università di Campus. Possono sembrare pochi, ma sono in grado di offrire un cospicuo numero di ore di gioco. Considerato il consolidato business model di Sega e Two Point Studios, se non altro, si può prevedere l’arrivo di DLC più interessanti del solito.